Giulia D’Angelo, la scienziata che insegna ai computer a “pensare” con meno energia



A 21 anni un ictus le toglie la parola, la capacità di leggere e scrivere. Oggi, a 35, insegna alla Czech Technical University di Praga e guida un laboratorio che studia come rendere i computer più simili al cervello umano

A Praga, alla Czech Technical University, c’è una giovane scienziata italiana che studia come rendere i computer più simili al cervello umano. Lo fa non perché un giorno potranno pensare al posto nostro, ma per costruire macchine che consumino meno energia. Si chiama Giulia D’Angelo, ha 35 anni, insegna Spiking Neural Networks. Nel suo laboratorio crea algoritmi neuromorfi, sistemi che emulano i meccanismi del cervello a livello di software, con un hardware speciale.

La sua storia comincia molto lontano. Quando era una ballerina professionista di hip hop e il suo corpo si è improvvisamente fermato. Per un ictus.

Ma andiamo con ordine.

La intervisto alle 8 di mattino, alle 9:30 deve essere in università.

«Uso telecamere bioispirate, che si comportano in modo simile alla retina. La nostra tecnologia non cattura immagini a intervalli regolari come fa quella tradizionale delle telecamere: ogni pixel reagisce solo se cambia la luminosità, proprio come succede con i nostri fotorecettori. È un’informazione asincrona, temporale, più vicina a come la retina e il cervello processano la realtà».

Davanti alla complessità, lei inizia a fare esempi per farmi capire. «In questo momento tu sei seduta, mi intervisti, scrivi quello che dico, forse pensi alla prossima domanda. Stai facendo tre cose insieme e consumi poco più di venti watt, meno di una lampadinaUn computer tradizionale invece, per riconoscere un solo oggetto in un’immagine, ne consuma dieci volte di più».

Questa è la promessa dell’ingegneria neuromorfaridurre l’informazione alla sua essenza. «Noi puntiamo a comunicare meno ma in modo più efficiente».

E per spiegare cosa intende, fa l’esempio concreto di Alexa: «Il dispositivo, per poterti rispondere quando magari le dici “apri il cancello”, deve continuamente processare, ossia a chiedersi: “c’è qualcuno che mi sta parlando? C’è qualcuno che mi sta parlando?” Questo è uno spreco enorme di energia. I nostri sensori fanno l’esatto contrario: si attivano solo se qualcosa cambia nella scena: se cambia una voce, un suono, un movimento».

Il campo in cui ci muoviamo si chiama Neuromorphic Engineering. È formato da una comunità che nasce a fine anni ’80. «Vogliamo diminuire la latenza e l’energia che usano i computer. Nuovi device sono già stati realizzati. Al Telluride Neuromorphic AI Workshop, in Colorado, hanno presentato un device per keyword spotting, ossia il riconoscimento di parole chiave. Lo ha realizzato la professoressa Shih-Chii Liu. Usa talmente poca energia che può essere lasciato acceso per tre mesi e non ha bisogno di essere ricaricato».

Anche in Italia, all’IIT, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, c’è il gruppo lead che lavora al progetto, e che fa capo a Chiara Bartolozzi. Ed è esattamente il posto da dove Giulia è partita.

Rewind. Siamo nella periferia di Genova. Giulia è la prima di quattro fratelli. Papà autista di autobus, mamma segretaria. Lei a 18 anni parte e va a Roma. È ballerina di hip hop e di house. Di mattina lavora come segretaria, di pomeriggio insegna hip hop, fa gare ogni fine settimana. A un certo punto, un giorno dopo l’altro, inizia a svenire. «Pensavo fosse stanchezza». Poi, improvvisamente, un pomeriggio si rende conto che la parte destra del suo corpo si sta paralizzando. «Ero sola a Roma, ho provato a chiamare un’amica ma non riuscivo a parlare. Non formulavo bene le parole. Lei sapeva dove trovarmi ed è corsa a prendermi».

Un mese in ospedale. Giulia ha avuto un ictus a 21 anni. Non riesce a parlare, a leggere, a scrivere. Ma si impegna moltissimo. «Leggevo come una bambina di sei anni. Tutti in ospedale mi facevano leggere ad alta voce per recuperare». Dopo un mese torna a casa, a Genova. Pensa e ripensa a quello che ha vissuto. Recupera le sue capacità e inizia a chiedersi: cosa mi è successo? «Mi chiedevo se avessi perso delle abilità cognitive. Pensavo a tutte le persone all’interno del mio ambulatorio, che non riuscivano più a muovere un braccio o che ragionavano molto lentamente. Così ho iniziato a studiare, volevo sapere tutto sui neuroni. Sono diventata ossessiva. A un certo punto ho deciso: mi iscrivo a Neuroingegneria. Tutti mi davano per matta».

Invece consegue una laurea triennale in ingegneria biomedica e prosegue con la magistrale in neuroingegneria. Tra i suoi professori c’è chi lavora su algoritmi e piattaforme neuromorfe, e sceglie di seguire quel campo, per capire ancora una volta come funzionano i neuroni. Fa un Erasmus al King’s College di Londra. Poi si laurea e applica all’Istituto Italiano di Tecnologia per una posizione di software engineer per computer vision. Passa tutte le selezioni e la prendono per un anno.

Dopo un anno, l’esperienza è finita, lei progetta un conversational bot per una grande azienda.

Ma a una conferenza a Madrid la sua vita cambia di nuovo.

«Ero in fila per mangiare, raccontavo alla persona accanto dell’algoritmo neuromorfo. Davanti a me una donna si gira e mi chiede: «Ma tu cosa ne sai? Come mai ti interessi di questo? Sono Chiara Bartolozzi, faccio neuromorphic all’Istituto Italiano di Tecnologia. Io ero stata all’IIT ma non facevo questo e non la conoscevo». Così Giulia ritorna a Genova e consegue il dottorato tra l’Istituto Italiano di Tecnologia e l’Università di Manchester. «Mi sentivo in cima al mondo. Inizio poi a pubblicare il mio primo articolo scientifico, poi il secondo, poi il terzo, e non mi sembrava vero. Perché il mio problema è sempre stato quello di non sentirmi all’altezza».

Dopo il dottorato Giulia cerca una strada nelle aziende. Prova con IBM e Google, ma non la trova. Il suo professore, Matej Hoffmann, le consiglia di scrivere un progetto e applicare per la Marie Curie, il grant più prestigioso che esista in Europa. Intanto trova lavoro come ricercatrice in un centro di ricerca a Monaco di Baviera e, dopo dieci giorni, arriva la mail che aveva vinto il bando. «Quell’anno abbiamo applicato in diecimila, siamo entrati in cento persone». Parte per Praga. E finita la Marie Curie, decide di restare e vince la posizione di assistant professor.

Giulia ha vinto numerosi premi. Oltre alla Marie Curie Postdoctoral Fellowship (2021), ha ricevuto il President Doctoral School Award dell’Università di Manchester (2023), è stata selezionata tra gli Editor’s Highlight di Nature Communications (2025), ha vinto in Italia il Premio Tecnovisionarie (2024) ed è stata nominata Rising Star in una rivista internazionale di settore.

«Sono arrabbiata a morte con l’Italia. Ce l’hanno messa tutta per mandarci via. Ci sono un sacco di ragazzi italiani meravigliosi in giro per il mondo, siamo ovunque perché non riusciamo a trovare lavoro in Italia. Qualcuno mi dice: “Ma sei andata nell’Europa dell’Est?”. Praga non è Europa dell’Est, e quando sono arrivata qui mi hanno fatto un contratto in cui mi si pagavano i contributi, la pensione, la pensione integrativa, il TFR, la maternità e così via».

Cosa sogni per il tuo futuro?

«Mi auguro di imparare a sentirmi finalmente abbastanza, di smetterla di dover dimostrare qualcosa a qualcuno che poi sono io. Mi hanno detto mille volte: vai a lavorare, fai le fotocopie, smetti di studiare… ma dalla mia parte avevo la mia mamma che mi spingeva ad andare avanti».

«La mia vita è sempre stata talmente un casino. Forse l’ictus, forse le origini umili, ho sempre avuto paura di non essere all’altezza. Ho imparato a circondarmi delle persone giuste. Questo è ciò che spero di poter fare con gli studenti che lavorano con me: creare un ambiente sano, in cui si sentano liberi di sbagliare, di dire delle cavolate o di essere se stessi, per poi riuscire a trovare la loro unicità».

Riusciremo a creare computer e modelli che consumano meno energia?

«Sì, certamente. Li abbiamo già creati».

Fonte: https://www.repubblica.it/tecnologia/2025/10/31/news/beautiful_minds_giulia_d_angelo_la_scienziata_che_insegna_ai_computer_a_pensare_con_meno_energia-424951376/